Sviluppo e Decrescita

pil_gpi1In una recente conferenza Mauro  Bonaiuti ha presentato un grafico in cui vengono giustapposti gli indici del GNP (“Gross National Product” indice del prodotto interno lordo PIL ) e GPI (“Genuine Progress Indicator”, cioè l’indicatore di progresso reale  ) in funzione del tempo. In esso si vede che, mentre il PIL cresce, il GPI raggiunge un massimo in corrispondenza di un certo valore di PIL, per poi decrescere anche se il PIL continua ad aumentare. Secondo Serge Latouche è la crescita stessa a causare la povertà, infatti le leggi economiche prevedono che il più abile, l’innovatore, conquisti il mercato e entri in una spirale di crescita a cui corrisponde una spirale di esclusione per i concorrenti. Durante la crescita dei “vincitori”, i prodotti si moltiplicano e diventano merci. Con la mercificazione il mercato si allarga a sfere sempre più ampie, fino a dissolvere i legami sociali che prima univano solidalmente chi forniva beni e servizi e chi ne usufruiva, facendo perdere qualità della vita ai cittadini che si vanno urbanizzando. Nel grande mercato globale non occorre più conoscersi, tutto è anonimo: ci si rifornisce di merci senza autore, nei grandi mercati, si torna a casa e si consuma, ma vi si può morire senza che nessuno se ne accorga. Se la produzione, con un approccio economicistico, viene considerata una scatola nera in cui entrano materie prime, capitale e lavoro e ne escono beni e sevizi, non è possibile uscire dalle considerazioni qualitative precedenti e rendersi conto da dove nascono la povertà e l’infelicità prodotti dallo sviluppo. E’ necessario esaminare cosa accade nella scatola nera e tenere conto, tra l’altro, che, in essa, ci sono anche i rifiuti. Nella scatola nera troviamo ciò che indichiamo come “stock”, e cioè l’intera situazione che permette di produrre: la biosfera, o capitale naturale, la noosfera, o capitale di conoscenze, i valori culturali e morali, le relazioni umane, i mezzi di produzione, macchinari e simili. Solo perché si avvalgono di tutto ciò (oltre che dei flussi di materia, capitale e lavoro in entrata) le imprese producono beni e servizi per i consumatori e questi possono, grazie ad essi, aumentare il proprio il benessere. Non sempre sono necessari flussi in entrata per produrre benessere. Per esempio, se sto in casa a leggere un libro, sto utilizzando degli stock, che sono la casa, la sedia e il libro, senza alcun flusso di merci in entrata e di beni in uscita. Si devono dunque considerare flussi e stock, ovvero reddito e ricchezza. Questo è un aspetto trascurato dalle analisi tradizionali. Gli stock entrano nei processi di produzione delle imprese e di consumo dei consumatori e il deterioramento della qualità della vita è provocato dal deterioramento degli stock che la produzione consuma senza ripristinare. Ci sono cose di cui il capitalismo si avvale senza produrle, per esempio i valori di cui ha bisogno, come l’onestà, che è uno stock. Si pone dunque il problema di creare dei valori che essi stessi devono essere sostenibili e questo è di una difficoltà drammatica. La fiducia nella tecnologia è un valore che è certamente funzionale alla crescita economica, ma non è sostenibile perché provoca un paradosso, detto “paradosso del progresso tecnologico”. A fronte di una crisi ecologica evidente, si propone come valore culturale la fede che la risposta verrà dal progresso tecnologico. Questa è una illusione che viene da carenza di pensiero sistemico, infatti, se è vero che negli Stati Uniti si produce ora un dollaro di PIL consumando il 30% in meno di energia, nello stesso periodo i consumi energetici totali sono aumentati del 25%. Questo dipende dal modificarsi delle preferenze individuali e da un diverso stile di vita che lo stesso progresso tecnologico induce. Questo cambio di preferenza compensa la maggiore efficienza che il progresso consente e crea il paradosso della tecnologia. Il fatto è che l’energia in più è stata spesa per incrementare e mantenere gli stock. L’aumento dei consumi, infatti trascina la conseguenza di un aumento degli stock, che si traduce in maggiori flussi richiesti, per esempio, per aumentare l’istruzione, per organizzare grandi società multinazionali, per rafforzare lo Stato, per produrre le auto necessarie per recarsi al lavoro, per rimediare con turismo e divertimenti allo stress che il produrre maggiori beni e servizi provoca, per dissipare i maggiori rifiuti, per rimediare ai danni ambientali che si generano, per mantenere, in sostanza, una macchina sempre più complessa che deve trasformare sempre maggiori quantità di flussi semplicemente per mantenere se stessa. Tutto questo aumento di complessità all’interno della scatola nera si traduce in un aumento dell’entropia del sistema (cioè sempre più risorse vengono disperse e rese inutilizzabili) e produce costi sempre più grandi del sistema complessivo, costi che, ad un certo punto, non sono più compensati dalla crescita del PIL e si traducono in una riduzione del GIP, nonostante l’aumento del PIL.

Sintesi di Guido Ferretti sull’intervento di Mauro Bonaiuti al convegno di Rivoli (To) del 26 e 27  maggio 2006

Nel lontano 18 Marzo 1968 Robert Kennedy, pronunciò, presso l’università del Kansas, un discorso nel quale evidenziava l’inadeguatezza del PIL come indicatore del benessere (vedi).

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2 risposte a Sviluppo e Decrescita

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