Nel gennaio di quest’anno (2013) il biologo Pierluigi Cazzola, responsabile dell’Istituto Zooprofilattico di Vercelli scoprì che alcuni cinghiali cacciati nel Vercellese erano contaminati dal Cesio 137, la quantità di questo radionuclide era molto superiore alla soglia prevista dai regolamenti in caso di incidente nucleare.
La scoperta fu tenuta nascosta, “per non creare allarmismo”, le ASL locali si limitarono al sequestro delle carcasse degli animali contenute nei congelatori dei cacciatori.
Qualche mese dopo il Ministero della Salute dichiarava il ritrovamento del radionuclide, riconducendo la presenza del Cesio 137 alla catastrofe di Chernobyl del 1986.
Stampa e TV ne parlarono subito, il ministro Balduzzi annunciò l’invio di Nas e Carabinieri, il collega dell’Ambiente Clini si mise a disposizione per alcune interviste.
Ora sulla vicenda sembra calato il sipario.
Nessuno disse che la scoperta del Cesio 137 nei cinghiali fu casuale, i campioni erano stati prelevati per essere sottoposti ad una indagine sulla trichinellosi, una malattia parassitaria che colpisce prevalentemente suini e cinghiali. Successivamente gli stessi campioni sono stati sottoposti (casualmente?) a un test per la ricerca del radionuclide Cesio 137.
Come è possibile che questi cinghiali si siano “riempiti” di Cesio di punto in bianco?
Non è per caso che le nostre autorità della Raccomandazione della Commissione Europea n° 2003/274 CE, ne abbiano fatto un uso “improprio”?
Oggi sappiamo che il Cesio 137 è entrato nella catena alimentare, non possiamo minimizzare questo fatto solo perché il consumo di carne di cinghiale è marginale, ne tanto meno esimerci dall’effettuare controlli più diffusi per evidenziare altre criticità.
“Gli effetti dati da assunzione di isotopi sono vari, non si limitano ai soli problemi neoplastici ma producono un generale abbassamento delle difese immunitarie, favorendo così le malattie infettive.
Incrementano inoltre alterazioni al sistema cardiovascolare ed è probabile che supportino le malattie degenerative caratterizzate da modificazioni genomiche”, ci fa sapere Pierluigi Cazzola in un blog di Repubblica.it
Legambiente del Piemonte pur considerando i livelli di Cesio 137 riscontrati negli animali abbattuti quasi inverosimili, ritiene che la causa più probabile del contagio siano state le sostanze emesse in seguito all’incidente nucleare dell’86.
Ma siamo così sicuri che si tratti del Cesio proveniente dal disastro di Chernobyl?
Il Cesio 137 è un radionuclide artificiale prodotto dalla fissione nucleare, rilasciato dunque da siti nucleari e dalle relative scorie prodotte.
La zona dove sono stati trovati i cinghiali “avvelenati” è considerata la pattumiera nucleare italiana che da sola ospita la maggior parte dei rifiuti radioattivi italiani ed è attraversata dalla ferrovia che trasporta i rifiuti nucleari in Francia.
A Saluggia, in provincia di Vercelli, nota non solo per avere accolto le barre di combustibile irraggiato delle centrali dismesse di Latina a Garigliano, ma anche e soprattutto perché ospita l’85% dei rifiuti radioattivi italiani. Questi rifiuti sono in gran parte in forma liquida e si trovano a poche decine di metri dal fiume Dora Baltea, e ad 1,5 Km dall’acquedotto del Monferrato, una delle falde acquifere più importanti del Piemonte, che alimentano tutte le risaie del luogo.
Recentemente a Saluggia c’è stata una nuova emergenza per pericolo di fuoriuscita di acque radioattive leggi sul Fatto Quotidiano dalle vasche stracolme. La città di Saluggia è interessata fin dagli anni cinquanta dello scorso secolo da attività di ricerca, sperimentazione e stoccaggio nucleari. Proprio da queste parti venne costruito Avogadro RS-1 il primo reattore nucleare di ricerca sperimentale mai costruito in Italia, tutt’ora in fase di smantellamento (e di proprietà della FIAT).
A Trino Vercellese, è iniziato il decommissioning (lo smantellamento) dei vecchi impianti nucleari italiani della centrale Enrico Fermi.
A Bosco Marengo (AL), le operazioni di bonifica ambientale di Fabbricazioni Nucleari hanno portato allo smantellamento e la decontaminazione (ma non alla rimozione) delle apparecchiature per la produzione del combustibile nucleare. (Maggiori informazioni)
Vale la pena di richiamare l’attenzione sugli altri siti italiani nucleari in dismissione con i relativi depositi di scorie radioattive che al momento si trovano a Ispra, Pavia, Latina, Roma, Garigliano, Trisaia e Palermo in attesa del previsto deposito nazionale per lo stoccaggio dei rifiuti mai realizzato.
Se le centrali nucleari in funzione ci fanno paura, quelle dismesse dovrebbero farci terrore, si stima che servono più di 6 miliardi di euro per bonificare in sicurezza tutte le centrali nucleari italiane dismesse, dove li troviamo tutti questi soldi?
Visto che non si tratta di soldi spesi per lo sviluppo dell’economia e lecito pensare a qualche “risparmio” a scapito della sicurezza.
L’ipotesi Chernobyl è forse la più probabile, ma non è l’unica.
La situazione ambientale allarmante, la vicinanza alla centrali nucleari francesi ed il recente disastro nucleare di Fukushima devono essere presi in considerazione. Leggi di più .
Anche gli incidenti nucleari come quelli di Rovello Porro, dove in uno stabilimento nel quale si produceva il telaio dell’Alfa 133, nel 1989 una fonte radioattiva “orfana” di Cesio 137, contenuta in un carico di alluminio proveniente dall’Est Europa, fu inavvertitamente fusa, immettendo nell’aria una enorme quantità di particelle radioattive, senza che nessun allarme scattasse, dovrebbero suggerire alle autorità competenti ulteriori accertamenti anche in altre zone colpite dalla nube radioattiva di Chernobyl. Leggi anche l’articolo su Greereport dal link seguente:
“Una Chernobyl italiana alle porte di Milano? Il caso della fonderia di Rovello Porro”.
Vale la pena di leggere anche il comunicato che l’Associazione Mondo in Cammino, molto sensibile al problema del nucleare ha scritto.
Per chi non si impressiona consiglio di visionare la puntata di Report “Radioattività di stato” del 2000 suddivisa in 6 parti, buona visione.